Un Natale di bilanci e attenzione

La fine dell’anno, si sa, è tempo di bilanci, di riflessioni profonde sui propri rapporti, familiari e affettivi, sugli obiettivi, lavorativi e non, conseguiti durante l’anno, sui propri sogni più o meno realizzati. Un momento che può essere prezioso strumento di consapevolezza e crescita personale, come, ahimè, dolorosa e inutile via crucis finalizzata a decretare i nostri (presunti) fallimenti come assoluti e oggettivi.

Fare bilanci infatti può essere occasione di crescita, in cui il prendere consapevolezza di ciò che abbiamo raggiunto e di ciò che non ha funzionato, ha il solo sano fine di conoscerci meglio. Sì, perché è solo facendo sempre più amicizia con i nostri talenti e i nostri limiti, incontrandoli senza presentarci con un giudizio, che potremo trarre il meglio in ogni ambito della nostra vita, mettendo nei nostri giorni futuri esperienze, persone e cose sempre più affini al nostro mondo interiore.

Bilanci e automatismi

Molte volte, però, per quanto tutti noi ambiremmo a ritrovarci nel quadretto appena descritto, la realtà che si configura nella nostra mente non sprizza esattamente della medesima positività. E questo perché il fare bilanci accentua gli effetti di una serie di automatismi di pensiero con cui solitamente approcciamo la realtà, e che poco hanno a che fare con la consapevolezza di ciò che c’è.

Sto parlando di quel 90% dei pensieri che attraversano la nostra mente e che quando non ci fanno sbalzare da un’analisi critica del passato a una proiezione catastrofica del futuro, ci intrappolano in un presente continuamente sottotitolato da opinioni, valutazioni, giudizi e pregiudizi. E allora ecco che nel momento dei bilanci, il revival può assumere toni drammatici.

Diciamo che, per esempio, ti eri ripromessa di iscriverti in palestra perché il ginecologo insiste sempre che il movimento è importantissimo, e una parte di te è da tanto che vorrebbe indossare abiti un poco più sensuali anziché nascondersi sempre sotto ampi maglioni, e in più hai un’amica che da anni ti ripete che la palestra in cui va lei è fighissima, non spendi una fortuna e in più si fanno anche buoni incontri. Nonostante tutti questi buoni motivi, però, tu in palestra non ti ci sei iscritta.

La retrospettiva costruttiva

La retrospettiva costruttiva vorrebbe che a fronte di quanto successo, nascessero delle riflessioni sul perché non hai realizzato il tuo iniziale desiderio:

  • Era davvero importante per te?

  • Se lo era, cosa ti ha impedito di prenderti questo impegno con te stessə?

  • Metti forse sempre gli altri al primo posto, tanto da esaurirti in corse e pensieri per loro e non aver più nulla per te?

  • Che cosa puoi cambiare nella tua quotidianità per concederti questo momento di cura nell’anno che sta per iniziare?

  • Ci sono cose che puoi delegare ad altri, o qualche no in più che puoi dire?

Se non lo era, è prezioso prendere consapevolezza che quello che alla prima ti poteva sembrare un insuccesso è invece un non aver assecondato un falso bisogno dettato da una qualche richiesta del mondo là fuori. È possibile che l’obiettivo di tornare in forma fosse proprio tuo, ma che non lo fosse lo strumento scelto per realizzarlo: tu non sei la tua amica, e per quanto lei ti sia cara, il rimetterti in forma per te può non passare dall’iscriverti in palestra.

Come dicevo poco sopra, il più delle volte però la retrospettiva può portarti a un lapidario: «Neanche le raccomandazioni del ginecologo mi scuotono. Pigra, spiaggiata e presto anche incriccata sul divano. Complimenti!»

C’è modo di salvarsi da questo gioco al ribasso? Fortunatamente sì.

Come salvarsi dal gioco al ribasso

Dal gioco al ribasso ci si salva imparando a vivere completamente immersi nel presente, perché è solo nel presente che possiamo essere liberi dalla tristezza di ciò che è stato (o non stato) e dalla paura di ciò che potrà essere. Ed è in questa libertà, in cui guardiamo a noi stessi e al mondo senza pregiudizio, che possiamo cogliere appieno le opportunità che ogni momento porta con sé. Solo nel presente possiamo trovare la pienezza.

Non che il passato non conti, la nostra storia viaggia con noi e se non ne avessimo una non avremmo neanche un futuro, ma non dobbiamo lasciare che il passato ci insegua nel presente fino a occuparlo con violenza.

E così per il futuro: proiettarsi nel futuro, in una certa misura, è positivo perché il futuro è il luogo delle possibilità e della creatività. Ma, anche qui, vivere troppo nel futuro ci fa abbandonare il posto dove siamo, e cioè il presente, per andare ad abitare in un luogo che ancora non esiste e che può rappresentare un pericolo: un tempo in cui non vogliamo andare, ma nel quale, pur azionando tutti i freni possibili e immaginabili, arriveremo lo stesso, o comunque un tempo pieno di cose da fare. Oddio, che ansia!

E allora stiamo nel presente con attenzione: non è brutta cosa, sai?

A essere più attenti si è anche più fortunati

Come mai a certe persone va sempre tutto bene, e le coincidenze sono sempre a loro favore?

Uno psicologo inglese, Richard Wiseman, si è messo in testa di capire se le persone fortunate sono tali per qualche loro caratteristica personale, anziché per qualche misteriosa fatalità. E ha scoperto che le persone più fortunate sono più rilassate delle altre e hanno la tendenza a vedere non solo quello che cercano, ma anche ciò che non cercano. Sono più aperte al nuovo e all'inaspettato, mentre le persone meno fortunate (che spesso sono anche le più nevrotiche) sono più chiuse: cercano solo ciò che hanno in mente, e spesso non lo trovano. Le persone fortunate moltiplicano le loro opportunità perché notano un articolo di giornale, afferrano in una conversazione un dato a loro utile, si accorgono di una banconota per terra, non si lasciano sfuggire un’occasione propizia. Non sono fortunati per magia ma per attenzione.

Attenzione e stupore

Riuscire a prestare attenzione a ciò che accade senza sovrapporre a tutto e tutti le nostre aspettative e le nostre opinioni, permette ad ogni momento di stupirci. Di solito, purtroppo non è così, perché incontriamo qualcuno e già sappiamo cosa dirà, ci troviamo in una situazione e già sappiamo come andrà. Viviamo in un presente impoverito, derubato delle sue qualità di sorpresa e novità. E questo non può che generare noia.

Essere nel presente è una condizione necessaria per qualsiasi tipo di relazione, sia con sé sia con l’altro. Infatti, se sono distratto e non sono nel presente, dove sono? E se non ci sono, chi è che sta entrando in relazione al posto mio? Quale automa ho delegato a rappresentarmi?

Essere nel presente con qualcuno è un dono: il dono dell’attenzione è forse il bene più prezioso e più agognato da tutti, anche se non ce ne rendiamo conto. Penso alle volte in cui mi trovo a parlare con persone che non mi guardano in viso o che palesemente non mi stanno ascoltando perché rispondono con qualcosa che nulla c’entra con quanto sto dicendo, e a come questo comportamento faccia emergere in me un senso di inferiorità, o forse di nullità. La disattenzione è disgregante e risucchia la fiducia in noi stessi.

E allora, tornando a questo fine d’anno, mi auguro che quanto appena condiviso possa aiutarti a guardare a te, a ciò che hai ottenuto e a ciò che hai mancato con la giusta attenzione: l’attenzione che mette in sala d’attesa giudizi e fantasie, che ti dà la possibilità di cogliere al meglio i tuoi reali bisogni e acchiappare le opportunità che ogni nuovo istante racchiude in sé.

 

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Come salvarsi dal periodo più bello dell’anno