Dimmi come mangi e ti dirò che ferita hai
Occuparsi del proprio benessere vuol dire prendersi cura di tutti i nostri corpi; quello fisico, quello mentale e quello emotivo.
Non è sufficiente raggiungere un peso ideale per sentirsi bene: puoi pure avere la taglia 42, ma se per mantenere questo standard devi azzerare il piacere e rinunciare alla socialità, dove sta la tua gioia di esserci?
Stiamo bene quando ci conosciamo e troviamo soluzioni ai nostri problemi che tengono conto di testa, cuore e pancia. La mente, da sola, non ci permette di affrontare un problema nella sua essenza, può al massimo controllarlo.
Quello che spesso ci riduciamo a fare, infatti, è mettere in atto strategie per esercitare il controllo e per proteggerci dal dolore delle nostre ferite, cosa questa che non solo non ci avvicina alla soluzione del problema, ma addirittura ce ne allontana.
E neanche a dirlo, queste strategie sabotanti sono difficili da stanare, perché sono inconsce: c’è stata una prima volta, e magari anche una seconda e una terza, in cui siamo statз portatз a mangiare un dolcetto per distrarci da un bubù, e poi, giacché la cosa ci dava un (quantomeno momentaneo) sollievo, l’abbiamo ripetuta oggi e poi ancora domani, ed ecco che l’associazione cibo-bubù è diventata un automatismo.
E così spesso ti ritrovi a mangiare senza nemmeno chiederti se ne hai voglia o no, se ciò che mangi ti piaccia o no: mangi per soffrire un po’ di meno. Anzi, mastichi per soffrire meno.
Lise Bourbeau, nota a livello mondiale quale grande esperta dell’ascolto del corpo, teorizza l’esistenza di cinque ferite, ossia individua i cinque principali condizionamenti appresi che ci impedirebbero di essere ciò che siamo.
Per ciascuna ferita ci sarebbero specifici modi con cui tentiamo di esercitare il controllo su noi stessi e sugli altri. Abbiamo solo l’imbarazzo della scelta sul dove e con chi esercitare queste strategie inconsce: l’abbigliamento, il denaro, le mansioni di casa e il lavoro, gli svaghi, gli studi, la scelta degli amici, le dimostrazioni di affetto, la sessualità e, ovviamente, l’aspetto fisico e il cibo.
Conoscere queste ferite e i comportamenti di controllo ad esse associate è un buon modo per spiegarci tante nostre scelte, alimentari e non, e lo scoprire che alcune di queste scelte ci tolgono più di quanto ci diano, a sua volta ci aiuta a mettere in discussione l’efficacia di quelle nostre strategie di controllo. E così il semino per il cambiamento è gettato.
Ma arriviamo al sodo. Come può influenzare il tuo modo di stare con il cibo ciascuna di queste ferite?
La questione è piuttosto complessa, quindi inizio con il dartene un assaggio. Se poi vorrai andare oltre l’appetizer, non hai che da seguire i miei prossimi articoli. Dedicherò un post approfondito ad ogni ferita, in modo che tu possa riconoscerti meglio nell’uno o nell’altro metodo di controllo e così iniziare a rivedere la tua relazione con il cibo in un’ottica più ampia e più rispettosa delle tue emozioni. Oggi però voglio dare con te una panoramica generale.
Iniziamo con la ferita da rifiuto, ma prima una doverosa parentesi: abbiamo detto che le ferite sono cinque, ciò che non abbiamo detto e che sia tu che io le abbiamo tutte – arrendiamoci all’evidenza! –, ma solitamente solo una o due dettano la maggior parte delle nostre credenze limitanti e dei nostri comportamenti.
Se la tua ferita più profonda è la ferita da rifiuto, credi che nessuno ti voglia per ciò che sei, sei convintə di non valere nulla, cerchi la solitudine e tendi a rifugiarti nel mentale. Rumini in continuazione, e questo ruminare ti porta a non sentire più il corpo, a non percepirne più i bisogni, compreso il suo bisogno di nutrimento. Ed essendo più interessatə all’aspetto mentale che al mondo materiale, non ti godi mai veramente ciò che mangi.
Quando è la ferita da abbandono ad essere riattivata e a spingerti ad esercitare il controllo, avviene il contrario. Siccome la tua ricerca d'amore è volta verso l'esterno, sotto forma di attenzione, affetto e sostegno, che peraltro non sai come ottenere, l'alimentazione ha una funzione compensatoria: non ricevendo dall'esterno ciò che vuoi, sopperisci a questo tuo bisogno per mezzo del cibo; puoi quindi mangiare oltremisura per colmare il tuo vuoto interiore e per avere l'impressione di ricevere ciò che ti manca.
Quando soffri a causa della ferita da umiliazione, invece, dal momento che non ti ritieni degnə del piacere dei sensi, ti tieni sotto controllo per non goderne. In presenza di altri ti trattieni spesso dal mangiare ciò che ami di più, sforzandoti invece di scegliere quello che credi degno di una persona “come si deve”. Talvolta succede però che tu non riesca più a trattenerti: i tuoi sensi sono in qualche modo presi in ostaggio, per cui perdi il controllo del cibo e mangi in modo esagerato.
Se invece è la ferita da tradimento a riaprirsi in te, siccome vuoi avere il controllo su ciò che avviene all'esterno e hai difficoltà a fidarti degli altri, riproduci lo stesso schema anche quando mangi. Per quanto tu sia una buona forchetta, la necessità di avere sotto controllo contemporanemente lavoro, figli e partner ti fa andare di fretta, e il gusto non ne guadagna di certo. Quando poi non sei tu ad aver preparato il pasto, senti il bisogno di aggiungere o togliere qualcosa dal piatto: semi, guarnizioni, sale, pepe, spezie, zucchero… E questo non perché tu abbia assaggiato! È ancora e sempre una questione di controllo.
In ultimo, la ferita da ingiustizia. Quando agiamo sotto l’influsso di questa ferita siamo estremamente rigidз con noi stessз e gli altri. Tutto viene messo pesato e soppesato: se stessз, gli altri e il cibo. L’obiettivo è la perfezione. Solo chi soffre a causa di questa ferita riesce a seguire una dieta ferrea e a esercitare il controllo su se stessə per arrivare al peso ideale, alla taglia che considera accettabile. È molto probabile che giudichi il “lasciarsi andare” talmente inaccettabile da affermare continuamente cose del tipo: «Non mangio mai né zucchero, né dolci. Non bevo più alcol. Mangio solo alimenti sani. Non sgranocchio mai nulla tra i pasti».
Possiamo accontentarci di controllare un problema – peraltro con esiti che evocano poco o nulla l’anelato benessere –, oppure fermarci e chiederci quale sia la sofferenza che stiamo cercando di anestetizzare con il nostro controllo: nel primo caso procederemo come automi a vivere una vita che non è la nostra, nel secondo caso, inizieremo a dar valore alla nostra storia personale e a riconoscerci il diritto di nutrire tutti i nostri corpi.
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Questa settimana nel Dispensario trovi: un esempio di diario alimentare che puoi usare per divenire consapevole dei differenti motivi per cui mangi e che nulla hanno a che vedere con la fame, e un gioco di carte ideato dalla Lise Bourbeau stessa per aiutarti a fare amicizia con le tue ferite.