Identikit mentalimentare della ferita da rifiuto
Rifiuto è una parola forte. Pensare di andare in giro per il mondo guardando a sé con una smorfia fra il vergognoso e il disinteressato, è davvero agghiacciante. Io ne so qualcosa.
Forse non riesci a risalire consciamente alla prima volta in cui tua madre (o chi per lei si prendeva cura di te quand’eri piccolə) ti abbia detto no, ma poco importa, perché quel primo no, rimosso o perfettamente nitido che sia, ha fatto un bel casino in te: in un attimo ha spazzato via la tua fiducia nella vita. A quel primo maledetto no hai consegnato la tua gioia di essere bellə così come sei.
Mia madre è sempre stata una persona super attiva, orgogliosa di fare, fare, fare, e con poco tempo per ascoltare (innanzitutto se stessa). Intorno ai due anni e mezzo so dai suoi racconti che spesso mi lamentavo per una fitta alla pancia e che, ogni tre per due le chiedevo di essere presa in braccio. Lei, che pensava la mia fosse pigrizia, non mi dava sempre retta. Era peritonite.
Oggi, se ci penso, me la vedo, in ostaggio della sua smania di fare tanto e bene, ogni giorno a sbattersi fra me, il lavoro, la casa e l’orto. La comprendo, oggi. Ma al tempo, chissà che in una di quelle volte in cui io fiduciosa sono andata verso di lei e lei non mi ha voluto coccolare, la mia pancia e il mio cuore non abbiano provato un dolore insopportabile.
Basta sentirsi di troppo una volta per credere di esserlo con chiunque e in qualunque situazione. Puoi ritrovarti a non voler occupare troppo spazio nelle conversazioni (perché riconoscerti uno spazio tutto per te vuol dire rubarlo agli altri), fare da tappezzeria alle feste, oppure sentirti a disagio a chiedere un favore. Insomma, una delle cose che più temi è quella di disturbare. Infatti, se guardo a me, ancor oggi, non a caso, l’incipit di buona parte delle mie telefonate è: «Ciao, scusa, ti disturbo?»
Andare verso l’altro e sentirti rifiutatə ti porta a cortocircuitare il cuore e a preferire di far tutto da te. Questo rifiuto che hai percepito non è necessariamente connesso a eventi oggettivamente tremendi. Il dolore non è mai causato dal comportamento dell’altro, dalla cosa in sé, ma dal significato che noi attribuiamo a quella data esperienza.
Nel mio caso, penso a quando, alle elementari, ero una capra di matematica e andavo da mio padre per farmi spiegare i problemi. Mi indicava i passi per arrivare alla soluzione ma io, tempo di passare dal suo laboratorio alla mia scrivania e già avevo rimosso tutto, e allora dovevo tornare da lui a richiedere spiegazione. Apriti cielo. Urla a non finire. La cosa non dev’essermi piaciuta troppo perché, a un certo punto, mi sono detta: «Ah sì? E allora sai che c’è? D’ora in poi farò tutto da sola». E così è stato: dalla terza elementare non ho più chiesto aiuto per i compiti, e per mille altre cose a venire. L’orgoglio ha zittito il cuore e per lunghi anni è riuscito a convincermi che il fai da te è una fortuna. Peccato che così facendo, in tutti quegli anni (decine) io abbia perso il contatto con le mie emozioni e consegnato le mie scelte alla fredda razionalità.
Chi ha la ferita da rifiuto non prende mai pienamente, perché se prendi pienamente poi hai paura che da un momento all’altro devi fare a meno di quell’abbondanza. Te ne accorgi anche dalle piccole (grandi) cose, come può essere un abbraccio.
A me, per esempio, gli abbracci piacciono ma, se ascolto il corpo, mi rendo conto che il mio non è un pieno abbandono. Sto sempre un poco ritirata, una parte di me vuole abbandonarsi ma ce n’è un’altra che mi frena e mi dice: «Guarda che poi ti abitui troppo bene, e lo sai come va a finire, prima o poi di tutto questo dovrai farne a meno»
Il motto è sempre lo stesso: accontentati di poco. Ci possiamo lamentare per il freddo che sentiamo, dirci che le nostre relazioni sono ‘a metà’, ma a ben pensarci, ci attiriamo proprio quello che crediamo debba essere: situazioni in cui c’è poco da prendere e quindi poco da rischiare.
E questo abituarti al poco ti porta anche a sentirti soffocatə non appena qualcuno si comporta in modo particolarmente amorevole e avvolgente con te. Avvicinati sì, ma non troppo, grazie!
Ti abitui a ricevere poco e, in compenso, fai tanto. Ovvio, se parti dall’idea che neanche i tuoi genitori siano riusciti ad amarti così come sei, ti dici che di certo non possono farlo gli altri, e allora l’unico modo che ti resta per ricevere un po’ di amore – o approvazione scambiata per amore? – è di diventare bravə a fare cose. Bravə a scuola, bravə al lavoro, bravə in famiglia, scegli tu dove meglio preferisci ammazzarti di fatica per sentirti di valere qualcosa.
Raramente chi ha la ferita da rifiuto si occupa dei propri bisogni. Preferisce occuparsi di quelli degli altri. È piuttosto bravə a captare i bisogni altrui, e questo non perché viva nell’amore incondizionato – direi che quanto abbiamo visto fino ad ora sia più che sufficiente per darci la certezza che questa parola, incondizionato, sia del tutto sconosciuta a chi teme il rifiuto –, ma piuttosto per necessità: se hai paura di essere rifiutatə e devi scappare prima che l’altro ti rifiuti, devi conoscerlo al meglio questo altro, ne convieni?
Ma arriviamo all’alimentazione. Te la faccio sempre sospirare, ma semplicemente perché credo sia importante considerare i possibili conflitti con il cibo come una delle tante espressioni di ciò che siamo, crediamo, pensiamo e sentiamo in noi. Solo inserendo questa conflittualità all’interno della cornice più ampia del tuo intero mondo potrai dare senso a ciò che provi in presenza del cibo, e solo conoscendo qual è il dolore che scatena le tue reazioni, riuscire a scioglierlo e permetterti scelte consapevoli.
Le persone che soffrono di questa ferita, sentendosi delle nullità, vogliono sparire, e come tali mangiano tendenzialmente poco. Punzecchiano il cibo nel piatto, e il loro più che un mangiare è un assaggiare. Poi, però, non mangiando in modo equilibrato e sano, compensano l’inevitabile e frequente calo energetico con cibi ricchi di zuccheri.
Lo stress porta la persona con questa ferita a ruminare mentalmente, con la conseguenza che lo stomaco le si chiude. Tendenzialmente non si siede comoda a pranzare: anche qui è sempre pronta a fuggire verso un dovere da assolvere.
Il cibo non è fonte di vero piacere, perché l’unica urgenza è quella di fare. Può anche dirsi che lei ama molto il cibo ma, in realtà, mastica in fretta, proiettata verso la prossima cosa da sistemare, capire o progettare. Essendo distratta dal mentale, ha bisogno di sensazioni gustative intense per prendere contatto con il piacere, e questo spiega la sua preferenza per i cibi speziati.
Nel mio caso, per fortuna, io vado ben oltre l’assaggio, ma è vero che per godermi veramente il cibo ho dovuto imparare (con non poca fatica) a rallentare. Lì per lì mi dicevo: «No, no, a me il cibo piace un casino», ma poi, soprattutto dopo gli esercizi di consapevolezza con il cibo che mi ha insegnato la mindfulness, ho realizzato che godermi il cibo pienamente, senza il pensiero che corre dietro alle mille attività messe nella mia tabellina di marcia quotidiana, è ben altra cosa.
Io non rifiuto il cibo, ma l’acqua sì. Non ho mai pensato a questa cosa in termini di privazione ma, a ben vedere, tutte le volte che ci portiamo alla disidratazione non è forse un dirci: «Avvizzisci, secca, sparisci»?
Se ti ci rivedi pienamente in quanto ho detto fin qui, sappi che la Bourbeau ti direbbe che (non sempre, ma spesso) indossi la maschera del fuggitivo.
Se invece ci ho preso abbastanza ma hai qualche dubbio, poiché il corpo è fedele riflesso di ciò che accade in noi, qui sotto ti lascio il ritratto del fuggitivo.
Come puoi ben vedere, chi vuole sparire ha un corpo che occupa poco posto: contratto, striminzito, smilzo.
Ti riconosci in buona parte di tutto questo? Se sì, c’è qualcosa che puoi fare nella tua quotidianità per smontare un po’ il tuo bisogno di approvazione? Come puoi dare più spazio al piacere?
Vuoi lavorare sulla tua ferita da rifiuto?
Iscriviti al Dispensario mentalimentare, la mia newsletter del venerdì: ogni settimana la tua dispensa si arricchirà di una nuova risorsa senza data di scadenza.
Questa settimana nel Dispensario trovi: un suggerimento per riportare il piacere nei tuoi pasti e una lettura che ti aiuterà a conoscere l’amara verità su uno dei tuoi alimenti preferiti.