Identikit mentalimentare della ferita da abbandono
Se la tua più grande paura è quella della solitudine allora potresti essere fra coloro che in tenera età sono stati profondamente segnati da un abbandono.
Può essere che i tuoi genitori per motivi di lavoro abbiano dovuto affidarti alle cure della nonna o di una zia, oppure che tu abbia dovuto trascorrere del tempo in ospedale, o ancora che siano arrivati nuovi fratelli in famiglia.
Quella dell’abbandono è una ferita che solitamente si vive con il genitore del sesso opposto (e continua a manifestarsi nella vita con persone del sesso opposto), e così se sei una donna, per esempio, può essere che tuo padre fosse molto chiuso e tu non riuscissi neanche a parlarci, figuriamoci a ricevere una carezza. Oppure, ancor più doloroso, potresti aver improvvisamente perso il tuo papà.
Comunque sia, c’è stato un tempo piuttosto remoto della tua vita in cui è successo un qualcosa che ti ha fatto credere di essere statə abbandonatə, e quel primo abbandono, poco importa se reale o solo temuto, è stato per te così doloroso da portarti (inconsciamente) a fare di tutto pur di non provarlo mai più.
E così, nel tentativo di proteggerti da tutti i futuri abbandoni, hai iniziato (sempre inconsciamente) a mettere in atto una variegata serie di strategie anti-solitudine.
Pur di non restare solə arrivi ad accettare di trascinarti in relazioni sterili: la tua vocina interiore ti dice che non fanno per te, ma tu preferisci credere che tutto vada bene, perché il lasciare, anzi, il solo sentire la parola lasciare, ti procura dolore fisico.
Drammatizzi molto. È sufficiente che il tuo coniuge non ti chiami per dirti che tarderà, per farti pensare il peggio e per non riuscire a capire come abbia potuto essere così insensibile nei tuoi confronti da non degnarti neanche di una telefonata.
Tendi a fare la crocerossina. Hai bisogno di salvare le persone a te care da qualsiasi difficoltà, ma, esattamente come accade a tutti noi non ancora prossimi all’illuminazione, non già per il bisogno di amare incondizionatamente, quanto piuttosto per il bisogno di sentirti importante. Hai bisogno di sentirti apprezzatə, e questo spesso ti porta ad assumerti più responsabilità di quante non ti competano, nonché spesso a ritrovarti con un bel mal di schiena.
E tutto questo fare per gli altri, quando non ti viene riconosciuto, ti porta ad essere piuttosto agressivə: «Ecco, io ho sacrificato tutto il pomeriggio per cucinare per voi, e adesso, uno se ne esce con gli amici, e l’altro quasi neanche assaggia quello che ho preparato»
Hai bisogno che gli altri ti facciano sentire importante, che ti prendano in considerazione, perché da solə non sei in grado di farlo.
Ti senti responsabile della felicità e infelicità altrui proprio come credi che gli altri lo siano della tua.
Accusi gli altri di abbandonarti ma non ti rendi conto che, nel dar loro la responsabilità di leggerti nella mente e di soddisfare i tuoi bisogni, sei innanzitutto tu che abbandoni te stessə, e non solo, perché nel caricare l’altro di tante, troppe aspettative, nutri proprio quello che temi, ossia la possibilità che l’altro se ne vada via da te.
A volte ti ritrovi a provare una profonda tristezza che non sai neanche da dove arrivi, e per non sentirla cerchi la presenza degli altri. E quando gli altri non ci sono, non ti capiscono o ti feriscono con il loro fare indifferente e freddo, molto spesso tenti di riempire il tuo vuoto d’amore con il cibo.
Ami i cibi morbidi e il pane.
Avendo difficoltà con la parola lasciare, è pressochè impossibile che tu lasci qualcosa nel piatto.
Mangi molto, e non perché sia particolarmente buono o perché il tuo corpo ne abbia bisogno, ma piuttosto per avere l’impressione di ricevere ciò che ti manca. Nonostante il tuo frequente rimpinzarti, continui a sentire il buco nello stomaco, ma quella voragine non potrà mai essere colmata perché è una voragine del cuore, e non c’è cibo che possa saziare un bisogno di affetto.
Non ti piace mangiare da solə e, quando sei in compagnia, per goderti il più a lungo possibile le attenzioni altrui, mangi lentamente.
E quando le tue strategie anti-solitudine non riescono a procacciarti la tanto anelata compagnia e ti ritrovi ad essere solə, fai fatica ad intrattenerti. In un attimo ti deprimi, ti annoi, e allora ecco che anche qui il cibo si fa soluzione: senza neanche accorgertene, sconsolatə ti ritrovi con il cucchiaio affondato nella vaschetta del gelato.
Se ti ci rivedi pienamente in quanto ho detto fin qui, sappi che la Bourbeau ti direbbe che (non sempre, ma spesso) indossi la maschera del dipendente.
Se invece ci ho preso abbastanza ma hai qualche dubbio, poiché il corpo è fedele riflesso di ciò che accade in noi, ti lascio qui sotto il ritratto del dipendente.
Il corpo del dipendente reclama sostegno: tende ad essere allungato, sottile, ipotonico, con la schiena ricurva e le braccia che sembrano troppo lunghe e pendenti lungo il corpo. Inoltre, nell’immagine non si vedono ma, gli occhi sono grandi e tristi, anch’essi bisognosi di attenzione. Tanto più la ferita da abbandono è profonda e tanto più questo identikit è fedele in tutte le sue parti.
Ti riconosci in buona parte di tutto questo? Se sì, c’è qualcosa di nuovo che puoi mettere nella tua quotidianità per darti la possibilità di scoprire che puoi stare bene anche da solə?
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Questa settimana nel Dispensario trovi: uno spunto per lavorare sulle tue aspettative e una lettura che ti aiuterà a scoprire un’alleata proprio in ciò che oggi temi di più.