Identikit mentalimentare della ferita da ingiustizia

Se nella tua vita tutto è questione di merito – non solo il successo, i soldi e l’anima gemella, ma persino il più piccolo favore, un sorriso e, neanche a dirlo, il cibo –, mi sa che sei fra coloro che, come me, sentono forte il peso dell’ingiustizia.

La ferita da ingiustizia ti porta a credere che tu meriti un qualcosa che l’altro, o più in generale la vita, ingiustamente non ti ha dato, e questa convinzione a sua volta ti porta a vivere un sentimento di ira.

Può essere la mamma che preferisce tuo fratello a te, l’amica che senza sbattersi troppo è figherrima dentro e fuori, il capo che non riconosce i tuoi meriti nonostante tutto il lavoro pressoché gratuito che continui a fare per lui da mesi (o anni?), o qualunque altra situazione in cui senti che non viene riconosciuto il tuo valore, e per cui incolpi qualcuno.

I primi che incolpiamo, guarda un po’ lo strano caso, sono i nostri genitori.

Quante volte mi son lamentata per tutto quello che i miei genitori non mi hanno dato? Per anni non ho fatto che rimproverare con rabbia i miei genitori per avermi costretta a un’infanzia solitaria, fuori dal mondo – a voler essere precisi, dicevo ‘in culo ai lupi’ –, continuando a dirmi che io mi meritavo una famiglia più di mondo che mi incoraggiasse a conoscerlo quel mondo, e a sentirmi una sfigata ad avere una madre che a dodici anni ancora voleva le dessi la mano per attraversare la strada.

Non che oggi ci legga estrema felicità in quei giorni, ma è certo che con quella rabbia io non abbia fatto che aggiungere carico a una situazione che già di suo era un peso per me, e non solo: ora so che senza quella solitudine di ieri non ci potrebbe essere la mia capacità introspettiva di oggi, e altra cosa ancora, dov’è scritto che se avessi vissuto in una famiglia con mille possibilità di crescita oggi sarei una persona migliore? Se fosse così semplice vedremmo il sorriso solo su chi è nato con la camicia, e invece no, perché quel sorriso nasce dove si riesce a dare un senso a ciò che c’è, al di là del tanto o poco, bello o brutto, giusto o sbagliato.

Il senso di giustizia che ci porta a credere di meritare un risarcimento è legato a cos’è per noi giustizia. Dentro di noi crediamo che tutto funzioni secondo il principio di causa-effetto, e che quindi a tanto impegno corrisponda altrettanto successo. Peccato che la vita non funzioni esattamente così e che tutti i nostri risultati dipendano ben più dallo stato emotivo nostro e altrui che non dalla nostra volontà e produttività.

Il principio causa-effetto si applica a tutto, anche all’amore: non è che l’amore sia gratuito, devi fare qualcosa se vuoi averlo.

Penso a tutte le volte che mia madre mi faceva il muso quando le disobbedivo: il suo amore aveva un prezzo. Ancor oggi non riesco ad immaginarmi che qualcunə possa amarmi semplicemente per quello che sono, e spesso, quando decido di fare qualcosa per l’altro mi devo fermare e domandarmi: «Lo stai facendo perché ti va o per obbedire?»

L’amore non può essere incondizionato quando i tuoi genitori sono un tantino rigidi: se quando sbagliavi eran cazziatoni e quando facevi bene era solo tuo dovere, è normale che tu tenda al perfezionismo più che non alla sicurezza di essere amatə sempre e comunque.

E se l’amore non è incondizionato, allora tutto è un dare e un ricevere misurato: io ti do quello che ti meriti e mi prendo quello che mi merito. Nulla di più e nulla di meno.

Questa cosa mi perseguita tutt’oggi e, anche qui, mi devo fermare per non andare in reazione e fare cose con il solo movente di ‘non sentirmi in debito’.

In questo quadretto le emozioni sono le grandi assenti e il protagonista indiscusso è l’ordine ossessivo. In tutti i contesti vige la rigidità, e la relazione con il cibo, e quindi con il nostro corpo, difficilmente ne fa eccezione.

Le scelte alimentari sono un’ossessione. Il peso è un’ossessione.

Raramente prendi peso, e se aumenti di un chilo, immediatamente lo smaltisci. Sei molto severə (e quindi giudicante). Se ti concedi un piacere poi ti senti in colpa e ti rimetti immediatamente a dieta. Il più delle volte non hai neanche bisogno di una dieta confezionata da altri perché, neanche a dirlo, ti regoli perfettamente da solə.

Grazie al cielo, nel mio caso, queste ultime persecuzioni me le sono scampate. Il mio peso, in base ai periodi di più o meno stress, oscilla anche di tre o quattro chili nell’arco dell’anno. Non che me ne freghi ma, se ho voglia di dolce, mangio dolce e, anche se so che quello è solo il tappabuchi del momento, lo accetto e me lo godo senza particolari sensi di colpa. Poi, a un certo punto, sentendo che il mio intestino appesantito mi sta togliendo troppa energia, ritrovo la motivazione per moderarmi.

Mi ci ritrovo invece nella tipica predilezione che chi soffre della ferita da ingiustizia ha per i cibi salati, duri e croccanti. Sì, perché stando spesso nell’incazzatura per quello che ci aspettiamo ma che non arriva, quel frantumare sotto i denti qualcosa ci permette di soprassedere al desiderio di sbriciolare qualcuno. Uh, come mi ci ritrovo in questo!

Anche se siamo piuttosto bravз nel controllo, questo non vuol dire che non lo perdiamo mai.

Quello che è importante capire è che, la perdita di controllo nell’alimentazione è spesso dovuta all’incessante controllo esercitato in altri ambiti.

Quando si ignorano i propri bisogni per tutta la giornata, per paura di non essere perfettз, o per il timore di venir giudicatз pigrз o negligenti, il risultato è invariabilmente lo stesso: quel controllo con cui mettiamo a tacere la vocina interiore che ci dice di essere arrivatз al limite delle nostre forze, si esaurisce, e passiamo dalla privazione in un ambito (il lavoro, per esempio) all’eccesso in un altro (il cibo).

Sono certa che i miei biscotti del dopo cena potrei evitarmeli se nella giornata mi concedessi più pause piacevoli dal mio fare e non mi stancassi troppo. Quel troppo, il più delle volte non porta a un lavoro di qualità e, per contro, reclama ricompensa.

Se ti ci rivedi pienamente in quanto ho detto fin qui, sappi che la Bourbeau ti direbbe che (non sempre, ma spesso) indossi la maschera del rigido.

Se invece ci ho preso abbastanza ma hai qualche dubbio, poiché il corpo è fedele riflesso di ciò che accade in noi, ti lascio qui sotto il ritratto del rigido.

Il corpo del rigido è diritto, ben proporzionato e… rigido (toh guarda!). La mascella è serrata e il portamento è fiero.

Ti riconosci in buona parte di tutto questo? Se sì, c’è qualcosa che puoi fare nella tua quotidianità per ascoltare maggiormente i bisogni del tuo corpo? C’è qualcosa che può aiutarti a mollare la paura di sbagliare?

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Questa settimana nel Dispensario trovi: un suggerimento per smontare in modo divertente la tua paura di sbagliare e una lettura che ti aiuterà ad allenare una capacità poco sviluppata in chi soffre della ferita da ingiustizia.

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