Non so cosa voglio. Sarà perché non me lo domando mai?
Ti è mai capitato di ritrovarti a un certo punto della tua vita a non sapere più dove sei e cosa vuoi?
Se ti è successo, son quasi certa non ti capacitassi di tanto stallo, tu che, per far quadrare i conti con figli, compagnə, lavoro, cane, mamma, vicinato e Netflix, sei sempre coinvoltə in mille decisioni.
È vero, siamo abituati a prendere costantemente decisioni, ma questo non implica che quelle decisioni nascano dall’interrogarci su ciò che davvero fa per noi.
Tutte le volte che ti trovi di fronte a un bivio, ti domandi: «Ora, in questa situazione, io cosa voglio?»
Se sei qui – in compagnia mia e delle mie parole, senza nulla togliere né a te né a me – proprio illuminatissimə non sei, e dunque assumo che la tua risposta sia molto probabilmente un: «No».
Non ci poniamo molto spesso la domanda di cui sopra perché è oneroso rispondervi: da creature decisamente più orientate al fare che all’essere, si sa, abbiamo innanzitutto fretta di riempire la nostra vita di cose, e non è che possiamo permetterci di rallentare per pensare ogni tre per due a chi siamo, da dove veniamo, cosa portiamo, dove andiamo (due fiorini). È per noi invece molto più efficiente attingere all’esperienza e stare in quello che conosciamo, in quello che abbiamo già ripetuto più e più volte, e che, proprio in virtù di queste ripetizioni, è diventato per noi un processo automatico. Se non fosse chiaro, mi sto riferendo alle nostre care abitudini, a tutte quelle routine che ci rendono rapidi e liberi da domande troppo impegnative.
Con tutto questo non voglio dire che le abitudini siano da condannare, anzi, figuriamoci se vado a sindacare il meccanismo adattivo che quotidianamente ci solleva dal concentrarci su mille faccende ripetitive e poco edificanti. Pensa, per esempio, a quanto sarebbe faticoso guidare senza attivare il ‘pilota automatico’: tutte le mattine – tutti, maschi compresi –, ci troveremmo a ripetere la prima lezione di scuola guida.
Quello su cui, invece, voglio portare la tua attenzione è piuttosto il rapporto che noi abbiamo con le abitudini, perché la nostra scelta su cosa affidare o non affidare alla routine ha il potere di trasformare questo meccanismo adattivo in paralisi dell’essere.
Le nostre abitudini sono una risorsa, se le usiamo per velocizzare attività che concretamente non richiedono particolare attenzione, come il fare la lavatrice e il lavarci i denti.
Diventano invece motivo di alienazione se lasciamo che si impossessino completamente della nostra vita e ci trasformino in automi che si alzano, fanno colazione, vanno al lavoro, pranzano, vanno a fare la spesa, preparano la cena, aiutano i figli a fare i compiti, portano il cane a fare pipì, telefonano alla mamma, guardano la serie su Netflix e danno il bacio della buona notte, tutto in modo meccanico.
Più agiamo con il pilota automatico inserito e meno le nostre decisioni rispondono ai nostri reali bisogni. Meno ci alleniamo a farci la domanda «Ora, in questa situazione, io cosa voglio?», e più ci allontaniamo da noi stessi, aumentando il rischio di trovarci un giorno in una vita che non percepiamo più come nostra.
Infatti, a forza di riempire velocemente il carrello con le quattro cose che conosci, di pranzare perché è l’una, di continuare a fare un lavoro che non ti coinvolge e di intrattenerti in una relazione fatta di consuetidine e noia, è alquanto probabile che arrivi il giorno in cui ti ritrovi a non sapere più dove sei e cosa vuoi.
E non è ancora finita, perché in questo malessere tu non ci vuoi stare più di tanto, devi trovare una soluzione. E cosa potrebbe mai essere più allettante per la tua mente se non una distrazione? Grande! Quando la causa di un disagio diventa anche la sua soluzione, sappi che non sei tanto a cavallo. Comunque, tornando a noi, quale è quella cosa comoda alla vista e alla mano, di cui puoi facilmente riempirti tasche e cassetti e a cui difficilmente dici no? Proprio lui, il cibo!
Questo per dire che, se mai dovessi riuscire a contenere i danni da carrello monotono e poco gratificante, stai pur certə che non riusciresti a salvarti dalla perdita di controllo conseguente al reiterato metterti ai margini.
E allora che ne dici di andare controcorrente e consolidare la nuova buona abitudine di disinserire il pilota automatico?
Come disinserire il pilota automatico e farsi guidare dai propri bisogni
Esercita la presenza.
In una serie di situazioni a casa, andando al lavoro, in un caffè, nella sala d’attesa del dentista e, ovviamente, ogni volta che sei a tu per tu con il cibo, per un paio di minuti resta mentalmente presente a ciò che c’è. Cosa vedi, senti, provi, che odori e sapori cogli?
Abituati a sfidare i tuoi limiti.
Sfida tutti i giorni la zona di comfort creata dalle tue abitudini facendo una piccola cosa nuova: cambia strada mentre vai al lavoro, prova un cibo mai assaggiato prima, iscriviti a un nuovo corso di ginnastica.
Ricordati il tuo scopo nella vita.
Se di fronte a una decisione ti accorgi che la tua scelta è guidata dalla comodità, ricordati che quella decisione, per quanto piccola sia, esprime quello a cui stai puntando. Ti accontenti di esistere o vuoi vivere?
Lasciati guidare dalle tue emozioni e sensazioni.
L’essere umano è mosso da due motivazioni: allontanarsi dal dolore e dirigersi verso il piacere.
Questo implicitamente vuol dire che, per portarci a casa il meglio possibile, dobbiamo sapere innanzitutto ciò che per noi è dolore e piacere, ossia conoscere le nostre emozioni.
Tendiamo a credere che le emozioni in genere siano di intralcio al processo decisionale ma, in realtà, solo quelle non accolte e messe sotto il tappeto possono interferire con i nostri obiettivi. Le emozioni ascoltate, insieme a tutte le sensazioni fisiche che le accompagnano, sono la miglior guida verso noi stessi e verso ciò che ci rende veramente felici.
La rabbia e le nostre mascelle serrate, per esempio, ci dicono che ci stiamo confrontando con qualcosa che non vogliamo, ma che siamo costretti (o ci costringiamo?) a fare.
La tristezza e il suo peso al petto ci parlano della nostra demotivazione.
La paura e il suo freddo, invece, possono essere meno semplici da interpretare. Infatti, la paura può nascere sia in risposta a un pericolo reale sia in risposta a una sfida che ci attira ma che percepiamo più grande di noi. A tal proposito, la scorsa settimana ho scritto un post sulla paura di non farcela che potrebbe darti un’aiutino in più per riconoscere quest’ultimo tipo di paura.
Allenati a osservare cosa provi nel corpo. Parti per esempio a notare cosa succede in te quando (e non se) decidi di sfidare un tuo limite. Puoi percepire un’apertura del respiro, gli occhi che brillano, una stretta al cuore, un buco allo stomaco, un macigno sul petto, o altre sensazioni solo tue che ti invito a scoprire. Più diventerai consapevole di quello che il tuo corpo vive momento per momento e più saprai a cosa dire sì e cosa dire no.
Ti son piaciuti questi spunti di riflessione e vorresti ancora qualche aiutino?
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Questa settimana nel Dispensario trovi: una strategia per andare oltre le tue abitudini al supermercato e una lettura che ti aiuta a scovare i tuoi veri bisogni.