Cura o ossessione per il cibo?
“Che differenza c’è tra chi è ossessionato dalla sua alimentazione e chi non se ne cura per nulla? Coloro che non se ne curano hanno perso il controllo della propria vita, chi ne è ossessionato ha smesso di averne una.” (Pierluigi De Pascalis)
Come saggiamente suggerisce quest’affermazione di De Pascalis, divulgatore scientifico esperto di scienze motorie e di scienze della nutrizione umana, quando si parla di cura per l’alimentazione il ‘troppo’ non è meno preoccupante del ‘troppo poco’, anzi!
In una società altamente medicalizzata in cui si pone sempre più l’accento sulla promozione della salute e del benessere, conseguire uno stato di salute autentica non è cosa facile.
La cosa sulle prime può sembrarci assurda ma, se ci riflettiamo un poco su, tanto assurda non è.
L’overdose di informazioni a cui quotidianamente siamo esposti in merito ai rischi per la salute (o presunti tali) e alle enne-mila strategie preventive (o presunte tali) di contenimento di quei rischi, in concreto crea in noi più ansia che sicurezza: alimenta la paura di non riuscire né a gestire tutte le minacce né a mettere in campo tutte le strategie preventive.
E quando parliamo di salute e prevenzione, è innanzitutto l’alimentazione l’aspetto su cui riversiamo le nostre ansie. Ansie che possono trasformare pratiche di per sé salutari in strumenti di autopunizione e limitazione crescenti.
In una cultura monopolizzata da slogan del tanto a poco che sforna quelli che alcuni studiosi considerano non-cibi, saper leggere le etichette, interessarsi ai metodi di coltivazione e allevamento di ciò che ci portiamo in tavola, e avere cura dei metodi di cottura sono di certo tutti comportamenti lodevoli e responsabili. Ma quando ciascuno di questi aspetti diventa un pensiero ossessivo capace di monopolizzare i nostri comportamenti e la nostra vita sociale, ecco che allora non solo non si persegue più la salute ma si rischia di nutrire la malattia.
In particolar modo c’è il rischio che si faccia strada nelle nostre vite una condizione chiamata ortoressia.
Conoscerne i tratti può aiutarci a riconoscerla – in noi, e ancor più facilmente nelle persone a noi vicine –, a non sottovalutarne gli effetti e a darci la possibilità di prendercene cura ai suoi esordi, impedendole di rubarci il sorriso e la vita.
Ortoressia: cos’è e come si presenta
Steven Bratman nel 1997 conia il termine ortoressia – dal greco orthos (giusto) e orexis (appetito) –, per individuare un disturbo psicologico per effetto del quale si sviluppa un’ossessione per l’alimentazione pura e salutare.
Lo stesso dottor Bratman era divenuto ortoressico, e fu proprio l’aver riconosciuto in sé un problema evidente con il cibo a portarlo a studiare la propria condizione: si alimentava in solitudine, aveva un rituale preciso in termini di numero di atti masticatori prima di ingerire il boccone, selezionava le verdure che mangiava solo se appena raccolte, e aveva la fobia dei prodotti caseari.
Chi soffre di ortoressia, infatti vive una costante ansia per la qualità e il tipo di cibo da assumere, si preoccupa delle tecniche di coltivazione e lavorazione e studia ossessivamente le etichette pur senza possedere reali competenze nutrizionali. Spende tantissimo tempo fra un pasto e l’altro per pianificare scegliere e controllare, e fa dell’eliminazione sistematica e arbitraria di intere categorie di alimenti la sua salvezza dall’impurità.
Ortoressia: le conseguenze
L’eliminazione sistematica e arbitraria di alcuni elementi dalla propria alimentazione (come ad esempio i grassi, gli zuccheri, le proteine animali, ma anche i cereali o i legumi) può, sul lungo periodo, determinare una carenza delle vitamine e dei minerali tipicamente contenuti negli alimenti eliminati dalla dieta e che difficilmente è sanabile assumendo prodotti alternativi.
Il ridursi a mangiare sempre i soliti quattro o cinque cibi, magari senza neanche troppo preoccuparsi delle quantità – sì perché i soggetti ortoressici solitamente riversano le loro ossessioni per lo più sulla qualità –, fa sì che ci si esponga a un sovradosaggio di contaminanti. Contaminanti che possono essere presenti anche in modo del tutto naturale negli alimenti ritenuti ‘buoni’ e che nulla provocherebbero in caso di consumo normale.
In tutto questo il guaio è che il corpo non risponde subito a queste carenze e a questi sovradosaggi, e quindi riconoscere che la nostra condotta è dannosa non è per nulla semplice: infatti, inizialmente riusciamo ad eliminare i nostri eccessi e siamo soddisfattз per riuscire a rispettare le regole che ci siamo datз, e tutto questo fa sì che il nostro comportamento si confermi ogni giorno di più come valido, tanto che, quando il corpo inizierà a lanciare i suoi segnali di sofferenza, i nostri schemi mentali, ormai diventati per noi indiscutibile verità, difficilmente ci permetteranno di riconoscere l’origine della nostra sofferenza.
Ma l’ortoressia non mette solo in pericolo il nostro equilibrio psico-fisico, compromette anche, e pesantemente, la nostra vita sociale.
Infatti, l’ansia di ingerire un cibo sul quale non si ha il pieno controllo fa sì che le occasioni di convivialità vengano vissute come situazioni di pericolo.
E se a questo poi aggiungiamo il fatto che, quasi sempre, chi soffre di ortoressia, oltre a considerare le proprie scelte non mediabili, si ritiene anche moralmente superiore a chiunque altro non aderisca al suo credo, ecco che le premesse per l’isolamento sono tutto tranne che trascurabili.
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Questa settimana nel Dispensario trovi: il test di autovalutazione dell’ortoressia messo a punto dallo stesso Bratman, e una lettura che ti spiega quali sono i regimi alimentari che più di altri favoriscono lo sviluppo dell’ortoressia.