Diete low-fat: un fallimento su tutta la linea
Oggi diamo quasi per scontato che grasso faccia grasso, ma non è sempre stato così.
So dai racconti delle mie zie che nella cucina della nonna l’ovetto delle galline razzolanti in cortile, piuttosto che il burro o la fetta di formaggio comprati nella cascina vicina, erano più che benvenuti. La mia era una famiglia contadina, povera, che di certo non viveva nell’opulenza – cosa di cui oggi, vedendo a cosa ci ha portato l’abbondanza, riconosco sempre più il risvolto benefico –, ma che quando poteva permettersi di portare in tavola questi prodotti lo faceva con gioia, senza temere di attentare alla propria salute. E né i miei nonni né le mie zie erano in sovrappeso.
Al tempo la scienza diceva che chi voleva dimagrire poteva mangiare liberamente carne, pesce, verdura, uova e formaggio, evitando invece pane, farinacei, cereali, patate e tutti i dolci (The practice of Endocrinology, 1951).
Poi sono arrivati gli anni ‘70. E la margarina.
Mi ricordo quando andavo a pranzo dai nonni e mia madrina tirava fuori dal frigo la margarina dicendo: «È vegetale, fa bene».
Sapesse quante se ne dicono oggi sugli oli idrogenati e quanti benefici ormai si riconoscono al burro, si inc***erebbe come una iena a pensare a tutta la deliziosità che si è persa nel credere che ‘vegetale’ fosse sinonimo di buono, e ‘animale’ di cattivo.
Le origini del ‘grasso fa grasso’
Negli anni ‘70 infatti si assiste a un cambio di paradigma nella comunità scientifica. Di fronte alla necessità di dare una risposta all’aumento delle malattie cardiovascolari e croniche (come, per esempio, l’ipertensione, il diabete e l’obesità) nell’occidente industrializzato, gli studiosi si contrappongono su due fronti: da un lato i sostenitori dell’americano Ancel Keys ritengono che i colpevoli siano i grassi (in particolare quelli saturi, di cui sono particolarmente ricchi i prodotti di origine animale quale burro, lardo e strutto), dall’altro, i sostenitori dell’inglese John Yudkin considerano responsabili i carboidrati raffinati e gli zuccheri.
Vince il fronte capeggiato da Ancel Keys e, nonostante l’accesa controversia sull’effettiva pericolosità dei grassi, il governo degli Stati Uniti emette nuove linee guida nutrizionali che consigliano di limitare i grassi al di sotto del 30% delle calorie totali, aumentando parallelamente i carboidrati.
E quando diciamo Stati uniti, già si sa, vuol dire Europa a stretto giro.
Ha così inizio l’era low-fat, e con lei la tristezza da margarina di mia madrina (giuro che rima è venuta senza inganno, è proprio mia madrina che mi ricorda l’avvento del deprimente surrogato di burro nella mia vita).
In questa nuova era c’è il via libera su pane, pasta, patate, riso, cereali e tutti i cibi ricchi di carboidrati, mentre carne, pesce e uova devono essere consumati con moderazione, e grassi e oli solo occasionalmente.
Questo prediligere i carboidrati non è che però sia un consiglio legato a un loro presunto effetto benefico, ma semplicemente una conseguenza per l’aver ridotto i grassi: della serie che i carboidrati diventano i buoni solo perché i grassi sono i cattivi.
Vediamo questo approccio al buono e cattivo che conseguenze ha avuto.
La teoria dei buoni e dei cattivi al servizio dell’industria: la nostra rovina
Se noi avessimo continuato a rivolgere le nostre scelte sui cibi come natura crea, la teoria del buono e del cattivo applicata a questi alimenti, per quanto semplicistica, non avrebbe causato il crescere vertiginoso dell’obesità a cui abbiamo assistito negli ultimi 40 anni.
Per capire il perché faccio una premessa: tutti gli alimenti naturali poveri di grassi, come frutta, verdura, legumi e cereali integrali, sono ricchi di carboidrati, e gli alimenti ricchi di grassi, come burro, olio, carne, pesce e uova sono poveri di carboidrati, mentre le proteine sono presenti in varia misura in quasi tutti gli alimenti.
Questo vuol dire che riducendo i grassi, avremmo sì aumentato il consumo di carboidrati ma, poiché in frutta e verdura questi si accompagnano alle fibre che rallentano il picco insulinico e sono molto sazianti, e visto che gli alimenti naturali non contengono mai elevate quantità di zuccheri, difficilmente saremmo diventati grassi o insulinoresistenti (se ti interessa sapere qualcosa in più sul metabolismo dei grassi e sull’insulinoresistenza leggi questo mio articolo).
Ma noi siamo stati portati a scegliere sempre più spesso ben altro che prodotti naturali.
Nella maggior parte dei casi, l’indicazione di mangiare pochi grassi si è tradotta in una dieta (orgogliosamente) low-fat che comprende riso raffinato, pasta bianca, pane bianco (spesso confezionato e comodamente affettato), grissini, crackers, biscotti con farine raffinate (e pochi grassi, ovvio!), cereali da colazione zuccherati, succhi 100% frutta. Tutti cibi privi di fibre e ad alto indice glicemico, a cui si aggiungono lo yogurt magro (magari dolcificato), il latte scremato, formaggi magri, verdura e legumi (tristemente sconditi).
E questa è la versione salutare.
Infatti, per i meno attentз alla salute, il via libera sugli zuccheri ha anche portato al consumo sempre più frequente di bevande dolcificate, dolci di tutti i tipi, snack e altri prodotti industriali.
In sintesi, il boicottare i grassi ci ha portato a mangiare grandi quantità di zuccheri ad altissimo indice glicemico che, non adeguatamente controbilanciati da fibre, grassi e proteine, ci causano picchi insulinici che, a loro volta, favoriscono sia l’aumento di peso che la perdita di salute (per approfondimenti ti consiglio questa lettura).
Nel 1971 il 42% della popolazione statunitense era in sovrappeso o obesa, e dopo 40 anni di dieta low-fat la percentuale era salita al 66%, e anche in Europa, con linee nutrizionali simili a quelle americane, la percentuale di obesità in 40 anni è quasi triplicata.
Andiamo oltre la ricerca di un singolo colpevole
Evidentemente non sono i grassi i colpevoli dell’aumento dei casi di obesità. Ma è altrettanto semplicistico dire che lo sono gli zuccheri.
Quando si parla di salute, soprattutto quando pensiamo alle malattie croniche, la causa non è mai da cercarsi in un unico fattore.
Per il buon funzionamento del nostro organismo sono parimenti importanti grassi, zuccheri e proteine: infatti, come non mi stancherò mai di ripetere, all’interno di una dieta ispirata ai principi di qualità, varietà e moderazione nessun alimento è da condannare o mitizzare.
E il mettere sul banco degli imputati i grassi è stato fallimentare innanzitutto per l’aver compromesso questi tre principi:
ha infatti dato il via libera alla creazione di prodotti industriali altamente calorici e scarsamente nutrienti, caratteristiche queste che poco hanno a che vedere con la qualità;
ha portato ad escludere dalla dieta numerosi cibi con preziose proprietà nutrizionali;
e in ultimo, ma di certo non per importanza, poiché i prodotti low-fat sono poveri di grassi ma ricchi di zuccheri sale e additivi che li rendono particolarmente appetitosi, il privare i cibi della loro bontà naturale ha fatto sì che venissimo incentivati a tutto fuorché alla moderazione.
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