Menopausa: meno la accetti più ti disturba

Per molte donne la menopausa più che l’inizio di una naturale fase della vita è l’inizio della fine.

Surriscaldare il pianeta con le proprie vampate, o incenerire chiunque anche solo osi appoggiare lo sguardo su quei fianchi che non sei neanche più certa siano i tuoi, non è cosa piacevole per nessuno. Piangere perché questa mattina il tuo cane non ti ha scodinzolato con lo stesso coinvolgimento di ieri, o peggio, piangere senza un perché, con nella mente un’unica certezza “È il primo passo verso il baratro”, non ispira esattamente aria di primavera.

Per molte donne la menopausa è sinonimo di disagio, ma quanto di questo disagio è dovuto al significato che noi attribuiamo a questo momento di passaggio?

La menopausa è una perdita solo se la vivi come tale

Come dice Martin Seligman, il padre della Psicologia Positiva, non è l’evento di per sé ad essere causa di stress quanto il modo in cui ognuno di noi percepisce e valuta quel determinato evento.

E in Occidente, immersз in una società che si accanisce contro l’invecchiamento, siamo portatз a leggere la menopausa come una “diminuzione”: sei meno prestante, sei meno bella, comunque sempre un qualcosa in meno di prima, perché la nostra cultura non considera l’arrivare a questa età come un valore aggiunto.

Ma esistono ancora civiltà meno occidentalizzate del Sud America in cui la menopausa è considerata un rituale di passaggio, un periodo di luna piena, ovvero il tempo della grande maturazione in cui si raggiungono alti livelli di conoscenza, consapevolezza e potere.

In Cina la menopausa è considerata la “seconda primavera” delle donne, e per quanto anche lì i disturbi non manchino, c’è però tutt’altra cornice in cui questi vengono vissuti. Questa fase del ciclo di vita viene vista per le sue opportunità di portare in luce tutte le risorse che non si son potute esprimere mentre si era impegnate a darsi al mondo in progetti, da un canto, sicuramente importanti – come il lavoro, la famiglia e i figli –, ma dall’altro canto, penalizzanti in termini di libertà e di espressione personale.

Differenze culturali e percezione dei sintomi

Ci sono studi che dimostrano come le differenze culturali influenzino la percezione dei sintomi della menopausa.

E’ stato infatti osservato che in alcuni paesi islamici, nell’India subcontinentale e nell’Africa subsahariana, dove la fine della fase fertile viene considerata dalle donne un vantaggio – perché permette loro un maggiore accesso alle attività sociali –, il livello di fastidio derivante dalle manifestazioni somatiche riferito da queste donne è molto basso.

Guardarsi con nuovi occhi

Lo studio sopra citato dimostra che la maggiore accettazione dei sintomi della menopausa rende il calice meno amaro.

E questa accettazione la possiamo coltivare nutrendo un’immagine di noi che vada oltre ciò che la cultura ci cuce addosso.

L’essere donna e vivere la propria femminilità non si esaurisce con l’avere un corpo che ‘funzioni’, per sfornare figli e sollazzare lo sguardo altrui.

Clarissa Pinkola Estés, in Donne che corrono con i lupi, scrive: “Le donne più anziane trattengono l'energia del sangue mestruale all'interno del loro corpo e fanno, invece che bambini, saggezza interiore.”

E la saggezza interiore a cosa può portare se non alla creatività?

Ascolto non giudicante, accettazione e gestione del peso

Possiamo essere fertili fino all’ultimo giorno della nostra vita, se solo prendiamo contatto con il nostro corpo, i suoi dolori, le sue emozioni, e diamo loro lo spazio e il tempo che negli anni della “costruzione” di noi abbiamo spesso sacrificato a lavoro, famiglia e figli.

Solo in questo contatto fatto di accettazione e non giudizio possiamo scoprire le nostre risorse più intime ed esprimere la nostra femminilità senza tempo.

È questo uno dei momenti in cui, più di altri, la mindfulness può essere di grande aiuto.

La meditazione praticata con regolarità, come ormai è dimostrato scientificamente da numerosi studi, riduce lo stato d’ansia, e l’abitudine a stare in silenzio in ascolto non giudicante di ciò che avviene nel proprio corpo, a sua volta sostiene il processo di accettazione.

Quando l’ansia cala, e si riesce a stare nel disagio con maggior accettazione, il cibo perde buona parte della sua funzione compensatoria, e così anche il peso ne beneficia, ma come effetto secondario di un processo che è partito con l’accogliere la persona, e non come obiettivo primario (e superficiale) del gestire il sintomo ’aumento di peso’.

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