Un mondo di intolleranti
Quello delle intolleranze alimentari è un fenomeno sempre più diffuso che porta con sé paure che possono minare il nostro buon intento di darci un’alimentazione sana ed equilibrata, alimentazione che può dirsi tale se è innanzitutto un’alimentazione varia.
E allora, vediamo un po’ se riesco a far in modo che queste paure non contagino anche te.
A volte non è intolleranza
Ti racconto due episodi che mi sono giusto successi in queste ultime settimane e che cascano a fagiolo per fare un po’ di chiarezza.
Il primo è che, da un po’ di tempo mi è preso il trip di prepararmi delle crepes con mix vari di farine, da alternare al pane, e in uno dei miei vari esperimenti ho piazzato insieme alla mia amata farina di farro integrale anche un cucchiaino di farina di lupini. Stavo per decollare da quanta aria avevo nell’intestino… e poi fuori dall’intestino.
Quindi? Oddiiiiooooo, sono intollerante alla farina di lupini? La devo eliminare dalla mia dieta?
Anche no. È semplicemente che, se ho mangiato i lupini in una qualche forma nella mia vita, sarà stato forse dieci anni fa. Il mio corpo, insomma, non è abituato a quell’alimento. Ma non per questo non glielo devo più presentare.
È un po’ come dire al sedentario convinto, che considera l’attività fisica una sorta di affronto alla compostezza, che dopo aver corso per 100 metri ed è paonazzo e ha il fiatone, che la corsa gli fa male e che non deve più correre.
È o non è una castroneria? Il corpo ha semplicemente bisogno di un po’ di allenamento.
E questo non vale soltanto per muscoli e fiato.
Molte volte ciò che chiamiamo intolleranza è semplicemente una temporanea difficoltà di digestione.
Non ha senso eliminare totalmente i lupini, o qualunque altro alimento – salutare, lo preciso, non si sa mai – solo perché al primo incontro non ci si è capiti. Introduciamolo nella dieta gradatamente, e vediamo un po’ se non possa nascerne una buona amicizia. ****
Il secondo episodio, invece, riguarda proprio la situazione opposta.
Io, da che nel 2013 ho trascorso sei mesi in UK, mi sono innamorata del porridge e, da allora, tutte le mattine, cascasse il mondo, che ci sia gelo o ci sia afa, io mi faccio cuocere i miei fiocchi di avena con acqua e bevanda vegetale, dove la gran botta di variazione che mi concedo è data dal tipo di bevanda vegetale, che ruota su ben tre opzioni: al miglio, al farro o all’avena.
Dunque, com’è ‘sta storia? Sono improvvisamente diventata intollerante ai fiocchi di avena e li devo cancellare a vita dalla mia dieta?
Anche no. Non sarà forse più ragionevole supporre che il mio corpo, dopo 10annix365giorni=3650 piatti di porridge, anche al solo vedere un cucchiaio di porridge, abbia tanta voglia di dirmi il suo: “KEPPALLEEE! Puoi cambiare solfa per un po’, please?”, e che magari lo faccia con una digestione lenta e una sonnolenza bestiale che mi rendano aberrante l’idea di ficcargli in bocca un altro cucchiaio di porridge?
Per ritornare amica del mio sistema digerente, non è necessario che io dimentichi il porridge forever, è sufficiente che disintossichi il mio organismo per un paio di settimane dall’amata-odiata colazione British e la reintroduca poi nella dieta – memore dell’effetto KEPPALLEEE! – in alternanza ad altri alimenti.
Molte volte ciò che chiamiamo intolleranza è semplicemente un bisogno di riequilibrare la nostra dieta.
Anche fosse intolleranza
La paura di vivere un disagio può farci compiere delle decisioni drastiche, non solo inutili, ma anche dannose.
E questo diventa ancora più probabile se attorno a noi sono numerosissimi gli esperti che propongono una loro più o meno sofisticata strumentazione per verificare ogni sorta di intolleranza.
A tal proposito, ti faccio presente che le uniche intolleranze ufficialmente riconosciute dalla scienza sono l’intolleranza al lattosio, l’intolleranza al glutine, e il favismo, per cui ci sono test ritenuti affidabili.
Per le restanti intolleranze ci sono i cosiddetti test “non convenzionali” che personalmente non mi sento di promuovere.
Ma al di là di quella che possa essere la diagnosi, il sospetto, o la paura di intolleranza, ti ricordo che non si è sensibili a un cibo ma lo si è a una molecola di quel cibo. E le molecole sono migliaia.
Non ha senso dire che una persona è intollerante ai pomodori, ad esempio.
Magari lo è a una molecola del pomodoro da insalata ma con un'altra varietà di pomodori, potrebbero esserci meno problemi; oppure i problemi potrebbero esserci, sempre a livello molecolare, col pomodoro cotto e non con quello crudo; oppure i problemi potrebbero essere determinati da qualche agente chimico col quale il pomodoro è entrato in contatto per favorire la sua conservazione; oppure può anche accadere che lo stesso tipo di pomodoro coltivato in due aree diverse, dia una risposta sintomatica differente a causa del terreno differente o dei concimi e disinfestanti utilizzati. Ancora, quella molecola potrebbe produrre effetti più evidenti se abbinata a un certo tipo di molecole contenute in altri cibi consumati nello stesso pasto, oppure il suo effetto potrebbe essere neutralizzato da altri alimenti ancora.
E questo vale per tutti gli alimenti.
Nel caso dei salumi, altro esempio, è più probabile che si abbiano problemi con nitriti e nitrati più che col salume vero e proprio, e lo stesso vale per tutti gli altri cibi contenenti additivi alimentari come i fosfati, il glutammato, certi edulcoranti, coloranti, conservanti ecc.
Questo fatto è molto importante perché a volte possiamo ritrovarci ad eliminare alimenti che in realtà andrebbero semplicemente sostituiti.
E questa scelta tranchant che lì per lì ci fa stare più tranquillз in realtà non depone a favore della nostra salute, che – come non mi stancherò mai di ripetere – per quanto concerne le scelte alimentari, ha innanzitutto a che vedere con una dieta il più possibile varia.
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